domenica 1 settembre 2013

GRASSO CHE COLA. UN RACCONTO DI ISABELLA LEONI


Andrea era grasso. Lo diceva lo specchio, lo dicevano la moglie e la suocera che, se doveva trovargli un difetto, sfogliava la Treccani e gli faceva l’elenco in ordine alfabetico. G come grasso, O come obeso, P come pingue o Palla di Lardo. Quando dà il meglio di sé, parlava napoletano: B come buatta.
Il medico di famiglia era andato giù pesante, non è solo questione di essere sovrappeso, ma ci stanno il cuore affaticato, le cartilagini delle ginocchia, il calo del desiderio sessuale. Insomma, se continui così, o ci rimani secco mentre fai la posizione del missionario o non si tira su nemmeno col cric. Dieta, ci vuole una dieta e tanta attività fisica.
Anna non diceva nulla, ma lo vedeva dagli occhi della moglie, quando raramente lo guardava negli occhi. Più spesso si attardava sulla pancia. Pancia gonfia come un cocomero maturo, i pantaloni all’altezza del basso ventre strizzati dalla cintura che non aveva più buchi né spazio per farne di nuovi.
Era lì la dieta, sul tavolo della cucina, che attendeva. Se quei tre striminziti fogli avessero potuto parlare, avrebbero pronunciato le candide parole del sergente: Palla di Lardo, sarà meglio che rimetti il culo in carreggiata e cominci a cacarmi anelli con brillanti su di un piatto d'argento, sennò sarò costretto a fotterti di brutto!

«Mi dia una confezione di stevia, per favore.»
L’erborista lo squadrò da sopra gli occhialetti a tartaruga e senza commentare si diresse verso un totem di legno contenente mensole e ripiani gremiti di scatole, flaconi e bottigliette. «Preferisce in capsule, in polvere o sciroppo?»
Domandona, che cazzo ne so. «Veramente devo sostituire lo zucchero nel caffè, non saprei …»
«Allora capsule, sono più comode da portare con sé. Ma vuole anche utilizzare la stevia per la preparazione di dolci?»
La suocera era una gran rompicoglioni, ma come faceva le torte lei non la batteva nessuno. E non si era mai rifiutata, da buona napoletana, di cucinare per il genero. Anna, invece, era una disgrazia ai fornelli e d’altronde non l’aveva sposata per quello, ma per altri motivi che ora non gli venivano in mente.
«Allora mi dia una confezione di capsule, una scatola di bustine e una bottiglietta di sciroppo.»

Sudato fradicio. La prima lezione di zumba lo aveva distrutto. E non solo fisicamente. Tutti quei glutei in movimento a ritmo di cumbia, reggaeton e merengue. Ma come sono zoccole le donne che si iscrivono a questi corsi con la scusa della dieta, infilate in quei calzoncini strizzati su perizomi minuscoli, che poi dopo mezz’ora di salti si bagnano di sudore. Non era così eccitato da quella volta che Anna lo aveva divorato nel bagno di quel ristorante cinese a Soho, secoli fa, lui magro come un’acciuga e lei con la voglia di una gatta sempre in calore. Tutti quei triangolini sudati sembravano chiamarlo, chiedevano di essere toccati, anzi, strappati. Le zumbazoccole erano lì per lui, unico partecipante uomo in mezzo a un harem di carne frollata ai ritmi latini.
Muovi quel culone, Palla di Lardo, hai paura di perdere qualche etto? Non vedi che sembri un tricheco in un negozio di porcellane? Sentì la voce stridula della suocera che gli soffiava dietro il collo i peggiori improperi, poi la solita frase ‘A gallina fa ll'uovo e a 'o gallo nce abbruscia ‘o culo, perchè secondo lei sono un buono a nulla che si lamenta, ma non combina niente. Ecco, bastò il pensiero della suocera che l’effetto viagra del merengue, dei perizomi e delle tette ballonzolanti si sciolse come neve al sole.

Dieci chili. La bilancia mi fa la standing ovation e mi batte il cinque. Tre buchi di cintura guadagnati e il fiato di quando stavo ancora al liceo. La collega di matematica che mi dà una pacca sulla spalla e mi sussurra: «Prof, sei in forma smagliante, qualche novità all’orizzonte? Cambio di look e pancia asciutta, in cerca di guai?»
Chissà perché, se un uomo decide di rimettersi in forma, deve per forza combinare qualcosa. Ma che cos’hanno le donne nella testa, segatura?
Andrea  si sentì per la prima volta dopo tanto tempo contento di essere al mondo, anche se la suocera, entrando in casa, lo aveva guardato con la solita aria di sfida: «Acala 'e scelle, ribbò!», che forse voleva dire non tirartela troppo, Palla di Lardo, eri una merda e merda resterai.

«Che hai?»
«Niente, perché? Sono un po’ stanca, oggi in ufficio ho dovuto risolvere delle beghe. E tu?»
E tu cosa? Come sto, se sono stanco annoiato contento se ho voglia di fare l’amore, te ne importa qualcosa?
«Che vuoi per cena?»
«Stasera nella tabella di marcia ho carote e pollo.»
«Il pollo è finito.»
«Allora carote senza pollo e due uova. Mi arrangio.»
Senza rispondere Anna si diresse in camera da letto come uno di quegli orsetti con le pile Duracell scariche.
In cucina trovò una torta a centro tavola, uno spettacolo di dolce napoletano.
«Anna, hai fatto tu la torta?» la annusò con voluttà. Tentazione tentazione tentazione maledetta.
«No, l’ha fatta la mamma per te, con lo sciroppo di stelvia e le carote.»
Non ci poteva credere. Quella stronza aveva cucinato un dolce dietetico, un pensiero gentile che non si sarebbe mai aspettato da lei.
«Ma se ne mangio una fetta, che dici?». Tagliò la prima senza aspettare la risposta.

Andrea appoggiò il borsone della palestra e si distese sul divano. Gli mancava il respiro. Forse aveva esagerato con lo zumba, ma l’istruttrice aveva predisposto un test di metà corso che prevedeva un’ora di coreografie, saltelli ed esercizi aerobici senza mai fermarsi sulle note frenetiche di Waka Waka, She wolf, Loca loca. Già prima di entrare in palestra aveva avvertito delle spaventose contrazioni addominali e si era fiondato nel bagno di fianco all’ingresso, per non correre il rischio di evacuare durante un saltello. Dolori così non ne aveva mai provati in vita sua, di sicuro una forma virare con i fiocchi. Ci mancava solo questa.
«Andrea, sei tu?» una voce cinguettante proveniva dalla cucina. Sentì uno sbattere allegro di stoviglie. E lui vedeva ancora i sorci verdi. Verdi come la quantità di merda che aveva rovesciato in quel povero water della palestra e che, non sapeva come, era stato risucchiato dal potente scroscio d’acqua dello sciacquone.
«Sì, che fai?»
«Una sorpresa! Non venire in cucina finché non te lo dico!»
Anna che cucina? Non ci posso credere, lei che odia mettersi ai fornelli e che a malapena sa cuocere la pasta. Sperava che non si fosse messa in testa di fare strani esperimenti proprio ora che si sentiva scoppiare. Di tutto aveva bisogno, forse qualcosa di caldo, magari.
«Ma da quando ti sei messa a cucinare?»
«Dai, non ti fidi? La mamma mi ha scritto una ricetta facile facile.»
E ci mancava pure la ricetta facile facile della suocera. Doveva andare ancora in bagno.
«Devi assaggiare assolutamente, è dietetica!»

«Mamma?»
«Allora?»
«Tutto a posto, ha mangiato. Non voleva, ma l’ho convinto.»
«E i semi di ricino?»
«Tutti, li ho messi tutti, come mi avevi detto.»
«E il latte? Gli hai fatto bere il latte caldo?»
«Sì, sì. Stava così male che non ha fatto storie. Lo ha bevuto tutto d’un fiato.»
«Bene. 'A nave cammina e 'a fava se coce. Non ci resta che aspettare. Vedrai, figlia mia, staremo bene da sole io e te. Gli uomini sono tutti traditori, come il tuo povero babbo, pace all’animaccia sua.»

0 commenti:

Posta un commento