domenica 25 agosto 2013

IL DRAPPO DELLA SANTA BAMBINA. UN RACCONTO DI ISABELLA LEONI


8 agosto
Quella mattina la sede del borgo le sembrò più sporca e caotica del solito. Gran bella cosa che i turisti finalmente si fossero interessati al castello, ma poi toccava a lei pulire.
Si arrampicò sulla scaletta e con lo straccio inumidito iniziò a spolverare gli stendardi appesi alle pareti.
Quello non era un lavoro che si faceva spesso, ma prima del Palio di S. Reparata era buona abitudine riportare i trofei al loro splendore, portava fortuna. Ormai le pareti erano completamente tappezzate e, se il borgo romano avesse vinto anche quest’anno, i balestrieri avrebbero dovuto pensare alla collocazione del nuovo drappo.
Il suo preferito era l’opera di una pittrice di Prachatice, il paese gemellato con Terra del Sole, raffigurante una bambina dai lunghi capelli sciolti sulle spalle. Era intenta a rimirare un quadro con l’immagine della santa patrona avvolta dalle fiamme, da cui si innalzava una colomba. Nello sfondo il palazzo dei Commissari e la chiesa, immaginati vicini solo dalla mente dell’artista ceca, visto che in realtà i due poteri si fronteggiavano ai lati opposti della piazza d’Armi. La bambina fuori dal quadro, ritratta di schiena, indossava una lunga tunica bianca. Di fianco a lei, addossata a una parete illuminata debolmente da una torcia, una spada dall’elsa panciuta in attesa di essere brandita.
Toccò con i polpastrelli la superficie morbida del drappo di velluto e con l’indice la colomba, che pareva volesse uscire dal quadro. Era umida, come dipinta di fresco.
Si guardò il dito, come per trovarvi traccia di colore.
«Che fai lassù per aria? Raccogli le ragnatele?»
Chiara si girò, anche perché avvertì sotto i piedi una specie di terremoto. Quel deficiente di Carlo sotto di lei stava scuotendo con forza la scala, puntando con gli occhi da vecchio satiro le sue gambe scoperte. Lei lasciò cadere lo straccio sulla testa spelacchiata del guardone.
«Hai finito di sbavare? Copriti la pelata, che è meglio.»
«Orco zio cinghiale, ma sei scema?», sbottò l’uomo togliendosi lo straccio sporco dalla testa. Con l’altra mano si strisciava il pancione prominente.
Che caprone, pensò Chiara. Cercò di svincolarsi da una conversazione che scivolava immancabilmente sullo sfondo sessuale e si inventò un impegno nella sala delle armi, dove aveva sentito la voce di Francesca, la sua ancora di salvezza.

9 agosto
Nella sala delle armi Francesca stava spiegando a un gruppo di turisti le parti di cui si componeva la corazza.
«E’ uno degli elementi costitutivi dell’armatura e serviva per proteggere il busto del soldato durante un combattimento.»
«E questo casco cos’è?», chiese un bambino biondo lentigginoso che doveva avere su per giù otto anni.
«E’ un morione, un elmo aperto che serviva per proteggere la testa dai colpi nemici. Quello che vedi è la versione “a cresta”.
«Come la cresta di Balottelli, lo posso provare?»
La cosa che le piaceva di più delle visite guidate era soddisfare la curiosità dei bambini, doveva solo stare attenta a bloccare le manine quando cercavano di sfilare le spade, infilate in espositori da terra senza alcun tipo di protezione.
«Certo. Poi ti faccio provare anche la borgognotta, che assomiglia di più al casco della moto.»
Erano ormai le cinque e, dopo l’ultima visita, non le rimaneva da fare altro che chiudere la sede all’arrivo di Chiara con le chiavi. Non l’aveva vista quel pomeriggio, di sicuro sarà stata impegnata con gli stendardi. Era una sua fissazione pulire i drappi prima del Palio e, a dire il vero, quella pratica aveva portato fortuna al borgo Romano negli ultimi anni, con tre vittorie schiaccianti sui Fiorentini. Già Francesca assaporava i cori inneggianti al Leone, simbolo del borgo Romano, all’inizio della disfida e le bandiere giallo-blu appese a tutte le finestre della piazza e della borgata.
Decise di cercare Chiara, probabilmente aveva perso la cognizione del tempo oppure, cosa più probabile, Carlo la stava di nuovo marcando stretto. Quel vecchio entrava nella sede con mille scuse, da quando avevano cominciato i lavori di ripulitura nei sotterranei e lui si era offerto di scarriolare le macerie nel bastione di S. Martino. D’altronde, se non era per i volontari, il borgo Romano non avrebbe nemmeno avuto la sede in quell’ala del castello, che per motivi di sicurezza non era stata occupata dall’Archivio storico, dalla scuola di musica o da associazioni che a Terra del Sole si moltiplicavano come funghi.
Nella stanza degli stendardi Chiara non c’era. Le chiavi della sede erano sul tavolo sopra un pacco di depliant della cinquantesima edizione del Palio e lo straccio sporco. Che fredda di andarsene, pensò.
Prima di chiudere la stanza, buttò l’occhio sul muso regale del leone di bronzo. «Fai buona guardia, mi raccomando» gli disse ridendo.

10 agosto
Ore 8,00
Francesca aprì la sede del borgo di buonora, ancora il castello del Governatore sonnecchiava tra i torrioni, intorpidito dalla brezza di un mattino di tarda estate.
Di solito i contradaioli del borgo romano festeggiavano la notte di S. Lorenzo con spettacoli pirotecnici ma, da quando lo scorso anno era andato a fuoco un dragone di cartapesta, i fuochi notturni erano stati vietati per ragioni di sicurezza. Stasera si sarebbero ritrovati nella sala grande per una cena conviviale senza pretese. Un piccolo festeggiamento per avere completato lo sgombro dell’ultima stanza dei sotterranei. Chi non aveva visto, non poteva credere quanti strati di humus si fossero depositati lì, scaricati dagli effluvi delle fogne intasate che si facevano strada attraverso le feritoie del castello durante le piogge. Le petizioni per la ripulitura delle fogne medicee non avevano finora sortito nessun risultato, amministratori e Hera giocavano al classico gioco del rimbalzino, tergiversando su questioni di proprietà, manutenzione straordinaria, mappature del sistema fognario.
E di Chiara nessuna notizia. Il cellulare squillava a vuoto, nessuna risposta ai messaggi. Francesca decise di continuare la pulizia degli stendardi, per sgombrare la mente da brutti pensieri.
Infilò la chiave nella toppa, ma la porta si aprì senza bisogno delle solite due mandate. Ieri sera aveva chiuso, ripercorse con la mente le ultime azioni, che la vedevano intenta ad ascoltare i due cloc. Avvertì un leggero brivido sulla schiena, una sferzata di aria fredda. Percorse il corridoio che portava dalla stanza delle armi a quella degli stendardi, fino all’ufficio della sede. Le porte erano aperte e anche il finestrone che si affaccia alla borgata. Chi era entrato, chi era uscito, chi aveva lasciato tutto spalancato? Chi.
«E’ successa una cosa incredibile di sotto, vieni …» urlò Chiara sbucando come un tornado. Saltellava come un’indemoniata, facendo dondolare il leone rosso stampato sul petto della maglietta aderente.
Francesca la guardò ammutolita, come se avesse visto un fantasma. «Dove cazzo eri? Ma lo sai quante volte ti ho telefonato? Non rispondi ai messaggi?».
Le era montata una rabbia incredibile, ma era anche sollievo di vedere l’amica sana e salva.
Chiara sorrise e, dopo avere rovistato fra le carte del tavolo, fece apparire il suo Nokia modello cucciolone gran biscotto. Ecco, vedi? Niente cellulare, niente risposte, parve dirle quella bocca arricciata. Lesse dodici chiamate perse e cinque messaggi che non lesse.

Ore 10,00
Sembrava la scena di un film. Una mezza parete dell’ultima stanza del sotterraneo era franata sul piancito ripulito. Tra le fenditure di muro sbriciolato si apriva un buco cavernoso, solcato da lampi di torcia impazzita. Gli occhi di Francesca faticarono a distinguere qualcosa in quell’ammasso di macerie. Si guardò intorno per riconoscere le sagome vicino a lei. Giorgio indossava il casco da tombarolo e la maglietta nera con la scritta “Il tuo futuro è sottoterra”, www. speleo club.it. Marco brandiva l’ipod come la spada laser dello Jedi di Star Wars. Chiara le prese la mano e la strinse con forza. Non si sentiva un rumore in quella stanza, se non lo scalpiccio dei loro passi, incerti nell’ispezionare il perimetro della stanza.
Poi la rivelazione. Giorgio direzionò la luce del casco in una sezione dell’antro e illuminò un punto ben preciso. Una pozza di materiale liquido scuro e vischioso. Una matassa di peli aggrovigliati. Un cono affumicato mutilato alla base.
«Si contano sulle dita di una mano, quelli che fanno sul serio senza tanti santi in cielo, sono pochi per davvero, sanno cosa c'è... »
«Marco, ma ti sembra il momento di cantare?», si girò Francesca e il suo viso terreo fu illuminato dal lampo della pistola laser. Chiara guardò l’amica e le venne in mente la bambina dai capelli sciolti dello stendardo.
Giorgio raccolse il bussolotto abbrustolito, se lo passò tra le dita e lo riconobbe: «Questo è il dito di Carlo!»
Tutti fissarono senza rispondere il moncherino da cui sporgeva un’unghia tagliata a metà.
Francesca venne assalita da un conato di vomito.

Ore 12,00
«Occorre prendere una decisione e subito!» sbottò Giorgio battendo il salsicciotto-barbecue del fu Carlo sul tavolo. Non aveva mai avuto il senso del macabro, pensò Chiara, guardando di sbieco l’unghia rotta.
«Ma la vuoi smettere?» sferzò Francesca, che sembrava presa dalla tarantola e giochicchiava coll’elsa di una spada sfilata dall’espositore a muro.
«State calmi, non è il momento di perdere il senno» se ne uscì Marco e anche nell’aspetto pareva invecchiato di dieci anni almeno, persino sulle sopracciglia si era depositato uno strato secolare di polveri e calcinacci frantumati. Da una tasca laterale dei bermuda color militare, modellati sulle gambe muscolose e glabre, usciva il manico di una mazzuola.
Il silenzio calò nella stanza. Erano dentro la sede da almeno un’ora e ognuno cercò di isolare l’ansia trattenendo lo sguardo su un punto qualsiasi. Francesca ora accarezzava convulsamente l’elsa, come se quel gesto le procurasse un qualche sollievo.
Chiara si sentì soffocare e decise di rifugiarsi nella stanza degli stendardi, forse lì avrebbe trovato un po’ di lucidità. Lo sapevano tutti che avrebbero dovuto chiamare la vicina stazione dei Carabinieri per denunciare il ritrovamento, ma nessuno aveva il coraggio di farlo, come se quella scoperta fosse solo la punta dell’iceberg. Avrebbero aperto delle indagini, probabilmente tutta l’area del castello sarebbe stata chiusa con i sigilli per chissà quanto tempo. Voleva dire che forse il Palio sarebbe stato rimandato o addirittura annullato. Proprio al cinquantesimo anno, terribile. E lei? Tutti sapevano che Carlo da tempo si intrufolava nella sede con una scusa qualsiasi per vederla e farle le sue indecenti profferte. Il maresciallo le avrebbe fatto domande imbarazzanti, qualcuno avrebbe potuto immaginare il movente per un delitto. E comunque cosa potevano fare loro, se non denunciare quello che avevano trovato? Alzò gli occhi sullo stendardo dipinto da Ragazzini, Palio 1985. Lo sguardo tranquillo della santa patrona, rivolto a una colomba in volo nel cielo terso, la riportò alla realtà.
Si girò verso il suo stendardo preferito. Ma il rettangolo di parete sopra la porta era vuoto. Qualcuno l’aveva staccato dalla parete. Chi?

Ore 15,00
Nei sotterranei del castello tutto era come lo avevano lasciato. Si erano armati di torce potenti e avevano deciso di perlustrare con cura l’area del crollo, per trovare altri pezzi di Carlo, se c’erano. Tutti erano concordi sul fatto che, chi aveva macellato e poi abbrustolito il dito, aveva tagliuzzato anche il resto. Quello che non si spiegavano erano i tempi: come aveva fatto l’ipotetico assassino a uccidere, tagliuzzare, abbrustolire e murare i pezzi di Carlo nell’arco di una notte? E soprattutto: perché tutta quella fatica? Comunque la decisione l’avevano presa di comune accordo: niente denuncia ai Carabinieri finché non avessero trovato i segni tangibili di un omicidio.
Giorgio era già all'opera, munito di pala, per scavare le macerie dall'antro franato. Marco stava aprendo un varco con la mazzuola, per facilitare i lavori di scavo. Chiara e Francesca non avevano precise istruzioni, ossessionate dalla sparizione dello stendardo.
«Ma perché ieri sera sei sparita all’improvviso e hai lasciato le chiavi sul tavolo della sede? Non potevi aspettarmi?» la domanda frullava in testa a Francesca dalla mattina e quello era il momento dei chiarimenti.
«Dalla finestra avevo visto arrivare l’auto di Carlo, ho pensato di evitarlo e sono uscita in fretta. Tu eri impegnata con un gruppo di turisti, non ti volevo disturbare. Non potevo di certo sapere che … ma secondo te devo cercarmi un alibi per ieri sera?» Chiara cominciò a stropicciare i piedi sul selciato, come se cercasse delle risposte a domande inespresse. Appoggiò il tallone su qualcosa di soffice. Illuminò il punto con la torcia. Un nido di piume. Si chinò a raccogliere quel batuffolo lanoso e lo porse a Francesca.
«Cos’è?»
«Cosa ne so, ma comunque è davvero strano.»
«C’è qualcosa che non lo è in tutto quello che ci sta capitando?»
No, in effetti non c’era. Chiara decise di avvicinarsi a Giorgio e Marco, che stavano inginocchiati davanti al buco senza parlare. Sembravano i pastori del presepe davanti a Gesù Bambino. Avevano ripulito un’area di due metri per due e scavato alla profondità di mezzo metro alla velocità della luce. Nessuna traccia di cadaveri, arti mozzati o visceri purulenti. Nessuna traccia di stendardi insanguinati. Niente di niente.
«Ragazzi, qui non c’è nulla. Io direi che per oggi basta, no?» Marco rivolse un cenno ai compagni e tutti si alzarono. «Questo dito per il momento lo tengo io» e se lo mise nella tasca dei bermuda insieme alla mazzuola. «Voi acqua in bocca, mi raccomando. Fra un’ora arriva il gruppo che deve preparare la cena nel bastione, diamoci una ripulita e facciamo come se niente fosse. Non parlate nemmeno della frana, qui tanto ci lavoriamo solo io e Gio. Ma voi non avete trovato niente?»
Le ragazze si guardarono e risposero di no. In mano Chiara teneva il nido di penne.

11 agosto
Ore 2,00
Si leccava la zampa compiaciuto, il silenzio della notte gli dava un senso di pace e tranquillità.

La guardò passare un velo di cenere sul drappo insanguinato, un lavoro di pazienza, ma che aveva dato ottimi risultati. A volte le era toccato ripassare con il pennello il piumaggio della colomba, che si sporcava facilmente, soprattutto quando scendevano nei sotterranei, oppure il fendente della spada dai grumi di sangue..
«La prossima volta che usi la mia spada» disse la bambina «ripuliscila. La ragazza, che ieri sembrava posseduta dal demonio, ci giocava e non si è accorta che era imbrattata di sangue.»
«Non abbiamo avuto tanto tempo» disse piccato il leone. Quell’uomo aveva brutte intenzioni con la donna dalle gambe scoperte, non potevo permettere che le facesse del male. Sono il guardiano del castello, io!»
«Tu sarai il guardiano» ribatté la bambina dai capelli sciolti «ma il lavoro sporco dobbiamo sempre farlo noi. Quando lo hai sbranato, chi lo ha tagliato, chi lo ha portato nel sotterraneo e bruciato? E poi l’idea di murarlo nella parete, non bastassero le volte che abbiamo seppellito i bifolchi nel bastione. E se scavano anche lì, come nei sotterranei?»
Fino a quel momento la donna con il cappello non aveva aperto bocca. Non le piacevano quei battibecchi inutili. Lei aveva assistito al macello senza dare una mano, era una signora lei, ma questa volta avevano fatto un lavoro da dilettanti. E solo per compiacere il leone, che amava sbranare le vittime nei sotterranei e tenere un trofeo per sé.
«Non per interrompere i vostri discorsi» intervenne seccata «ma vorrei farvi presente che quei ragazzi oggi hanno trovato solo un dito bruciato. Dunque, nessun problema, non denunceranno niente e nessuno. L’unico sbaglio, secondo me, è stato usare il drappo per trasportare il cadavere nel sotterraneo. Domattina lo dovrete riappendere al suo posto. Volete perdere il Palio quest’anno? Quindi sbrigatevi. Quando al tuo dito, Leone, il ragazzo se lo è tenuto, quindi questa volta non potrai aggiungerlo alla tua collana. Fattene una ragione.»

Il re del castello per tutta risposta continuò a leccarsi la zampa, da cui era stato strappato un ciuffo di peli. Si girò a guardare benevolmente la colomba, che dormiva indisturbata il sonno dei giusti. Sapeva di essere protetta dal leone, dal fuoco e dalla spada della patrona di Terra del Sole.

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