martedì 29 luglio 2014

Essere figli d'arte: intervista a José Van Roy Dalì


José Dalí nasce a Perpignan nella Catalogna il 17 febbraio 1940, figlio di Salvador Dalí Domènech, pittore tra i massimi esponenti del Surrealismo, e della sua consorte Elena Deluvina Diakonov, conosciuta come Gala. Frequenta le scuole comunali e a sette anni esegue le sue prime pitture. La vicinanza dei ‘fratelli’ acquisiti, figli della coppia che lo accudiva a Verona, non evita a José di essere un bambino difficile, solitario e incline a compiere stravaganze.
Già a dieci anni, azzarda inconsuete sperimentazioni che precorrono talune avanguardie pittoriche, in quel periodo non ancora in embrione. Frequenta sempre in modo discontinuo corsi di disegno, scultura e incisione. Oltre a quella di Vermeer, José subisce l’influenza di alcuni pittori veristi italiani dell’Ottocento. Apprezza Ingres, Turner, Courbet, Van Gogh. Dopo un brevissimo approccio al Divisionismo e all'Impressionismo, viene fatalmente attratto dal Surrealismo che, malgrado lo scarso entusiasmo suscitato in Italia, riflette il carattere essenzialmente bizzarro e ribelle del giovane ragazzo.
Nel 1958, per dedicarsi completamente alla pittura, sospende temporaneamente gli studi. Evita intenzionalmente di entrare nel giro dei galleristi e dei critici compiacenti e, per protesta, espone sporadicamente le proprie opere senza firma. Per arrotondare gli esigui introiti di pittore ‘non allineato’, sconfina nel cinema, interpretando piccoli ruoli.
Dal 1963, sperimenta, per il solo gusto di farlo, innovazioni tecnico-pittoriche al limite del paradossale, senza perdere di vista la sua strada maestra. Difende due contrapposte realtà, quali: la sublime genialità di Gaudì e la naturale, intuitiva capacità di Le Courbusier. Con padronanza quasi assoluta delle tecniche tradizionali, influenzato dalla ‘conquista razionale della logica’, José tratta la superficie delle sue tele come un pittore fiammingo del Cinquecento, continuando a ispirarsi a Raffaello e a Velázquez.
Dal 1969 al 1978 collabora alternativamente come illustratore, umorista, autore, pubblicista e fumettista.
Nel 1973 conosce Barbara che lo sprona a riavvicinarsi all’arte. Segue un periodo prolifico e particolarmente creativo per José Dalí, la cui pittura, pur evidenziando frequenti richiami daliniani, travalica il Surrealismo stesso e le varie ‘correnti’ pittoriche contemporanee.
Nel 1980 colloca un profilo di Cristo, in limatura d’oro su tela, nella residenza estiva del Santissimo Giovanni Paolo II a Castel Gandolfo. Da questo momento si susseguono diverse esposizioni: la mostra presso l’Athena Arte a Roma, con il patrocinio della Comunità Europea dell’Arte e della Cultura; la personale Dalí Scultore ed Illustratore presso l’Accademia Spagnola e la Mostra Internazionale del Gelato dove presenta in esclusiva mondiale I gelati rigidi in contrapposizione con gli ‘orologi molli’ dipinti dal padre Salvador. Dal 1991 in poi collabora con aziende prestigiose tra cui Nestlé-Perugina e Quarta Caffè.
Nel 1984 torna in Spagna per cercare di capire e per indagare alcuni aspetti che avvolgono di mistero la vita del padre Salvador, malato gravemente. In quell'occasione si reca in visita al Castello di Púbol per posare dei fiori sulla tomba di famiglia, dove riposa la madre. L’anno successivo, insospettito dalle numerose, e spesso contraddittorie, notizie di allarme diffuse dalla stampa internazionale sullo stato di salute del padre, che pongono anche in alternativa a un Salvador Dalí gravemente ammalato un altro Dalí stranamente attivissimo e ancora in grado di dipingere e impartire ordini, ritorna in Spagna in incognito riuscendo, malgrado l’assidua sorveglianza, a raggiungere il padre all'interno della Torre Galatea, uno degli edifici del Teatro Museo Dalí.
Presenta in anteprima una duplice esposizione siglata per l’appunto I due Dalí, con cui l’artista tenta di superare i limiti umani, tecnici e caratteriali del ‘classico’ Astrattismo Informale, per approdare a Nuove figurazioni e quindi al nuovo stile che accompagnerà il suo percorso artistico.
Nel rendersi conto che l’interesse di buona parte della stampa nei suoi confronti si focalizza morbosamente sui complicati rapporti familiari con i suoi genitori, si auto-esilia simbolicamente con la moglie Barbara – assieme a un numero imprecisato e cospicuo di amici a quattro zampe, che lui reputa i suoi migliori amici – nella sua casa-museo nei pressi della campagna romana. Vorrebbe che i media s’interessassero e parlassero di lui soltanto attraverso le sue opere e le sue esposizioni artistiche.
Il passaggio a Nuove figurazioni, costituisce per l’artista un doveroso, sentito e profondo processo ‘rigenerativo’ a cui sente la necessità di sottoporsi per creare le premesse e le basi della nascita di un nuovo stile.

Sei praticamente italiano: com'è nato questo tuo legame italiano?
A causa della guerra, prima...e dei molti impegni professionali dei miei, dopo ho vissuto buona parte della mia infanzia in Italia, accudito dai miei tutori italiani. Ho studiato in Italia e praticamente la mia cultura di base è italiana. 
Avere come cognome Dalì: più un vantaggio o uno svantaggio?
Il cognome fine a se stesso, fa un certo effetto sicuramente e quindi rappresenta un vantaggio...è il tragico confronto che rovina tutto ovviamente, assieme alle eventuali aspettative. Pertanto direi che, il più delle volte è uno svantaggio... ma, ormai ci ho fatto l'abitudine.
La tua passione per l'arte è nata fin dall'infanzia o è sopraggiunta più tardi?
La passione per l'arte e per la bellezza estetica in generale, era insita in me fin dall'infanzia, e proprio a causa di questa passione e della conoscenza,  talvolta approfondita, di alcune opere universali  che, mio malgrado, non mi sono mai potuto sentire un artista.
Cosa ne pensi del panorama artistico contemporaneo, soprattutto in Italia?
Come in ogni settore più o meno artistico, c'è del buono, del mediocre e del peggiore ovunque. Talvolta imperversa anche del cattivo gusto...per non dire orrido...ma questo è lo specchio dei tempi. E per rispondere nella maniera più adeguata, vorrei prendere in prestito,  dal saggio frasario del nostro attuale Santo Padre: "e chi sono io per giudicare?"
La tua opinione riguardo quei movimenti artistici che prendono come punto di riferimento anche Salvador Dalì, come la Visionary Art?
Perseguire un buon risultato, attraverso le magnifiche lezioni di chi ci ha preceduto in passato e brilla ancora di luce propria, è un ottimo punto di partenza. In fondo, fu  proprio Dalì  ad affermare: "da chi non vuole imitare nessuno, non viene fuori nulla". 
Come nasce l'ispirazione per un'opera?
Solitamente,le migliori  ispirazioni vengono offerte a piene mani, dalla  natura stessa... o, in alternativa, dalla manipolazione esasperata dei propri sogni. 
La tua tecnica artistica preferita?
Non è facile avere qualche preferenza in un campo così vasto. Mi affascina tutto alla stessa maniera quando c'è da apprendere qualcosa di nuovo  o da sperimentare nuove tecniche... dalla pittura alla scultura, dalla incisione all'acquaforte all'acquerello...come fosse  il più bel gioco del mondo.
Sei anche scrittore. C'è un legame fra arte e letteratura?
Come precedentemente accennato, pur dipingendo e scrivendo senza peraltro ritenermi ne artista e ne scrittore, mi gratifica non poco, condividere con un più vasto pubblico alcune emozioni creative...e sapere che, al di la della mia soglia, esistono persone in grado di apprezzare i miei concetti espressivi. Sì, in ogni genere  di linguaggio, pittorico, poetico o letterario, c'è quella voglia di comunicare, con la forza dei propri limiti, i propri sentimenti e una traccia del proprio passaggio, a una piccola  parte del mondo.  




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