In occasione della morte di Angela Carter, avvenuta il 16 febbraio 1992, fu l'amico Salman Rushdie a occuparsi di commemorarla con parole toccanti che descrivono in modo efficace la donna e la scrittrice, l'importanza della sua figura nella letteratura postmoderna e ciò che la rendeva atipica nel panorama culturale del tempo.
Ho conosciuto Angela
Carter a una cena in onore dello scrittore cileno Jose Donoso a casa
di Liz Calder, che aveva pubblicato tutti i nostri libri. Il mio
primo romanzo stava per essere pubblicato, era il periodo del più
oscuro romanzo di Angela, La Passione della Nuova Eva ed
io ero un suo grande fan. Il signor Donoso giunse con un aspetto
simile a un ispanico Buffalo Bill, completo di pizzo
d'argento, giacca a frange e stivali da cowboy, continuando a
sponsorizzare terribilmente Angela. La sua apparente ignoranza del
lavoro di Angela provocò in me una lunga protesta durante la quale
l'ho informato che la donna con cui stava parlando era la più
brillante scrittrice inglese. Ad Angela piacque questo, verso la fine
della serata ci piacevamo a vicenda. Ciò accadde quasi 18 anni fa.
Lei fu la prima grande scrittrice che avevo conosciuto ed era una dei
migliori, la più leale, la più sincera, l'amica più ispiratrice
che si possa mai avere. Non posso sopportare la sua morte.
Quando abbiamo saputo del
cancro, la chiamai e ne abbiamo parlato. Le dissi, "Angela, c'è
solo una cosa da fare. Lo devi solo battere, questo è tutto."
"Sì", lei disse con un tono lento e profondo, "ma per
quanto riguarda la mia forte vena di fatalismo orientale? " Ho
detto: "No, senti io sono l'orientale in questa famiglia.
Potresti lasciare il fatalismo a me, e pensare solo a vincere
maledettamente? " "Oh", lei disse, come se qualcuno
l'avesse sorpresa con un buon consiglio, "ok".
E poi ella combatté come
un diavolo, combatté la morte con tutte le sue forze e tutto il suo
coraggio, ma anche con il suo spirito, il suo umorismo, il suo senso
del ridicolo, la sua rabbia. La morte ringhiò e lei le mostrò il
dito medio. La morte la dilaniò e lei le mostrò la lingua. E alla
fine lei ha perso. Ma ha anche vinto, perché nella suo furiosa
risata, nella satira sfolgorante della sua morte, il suo sgonfiamento
di ciò che Henry James ha così pomposamente chiamato "la cosa
raffinata", ha ridimensionato la morte: non più qualcosa di
raffinato, ma un pagliaccio assassino un po' sudicio. Dopo averci
mostrato come scrivere, dopo averci aiutato a capire come vivere, lei
ci ha mostrato come morire.
Ripeto: Angela Carter era
una grande scrittrice, Ripeto questo perché, nonostante la sua fama
mondiale, in Gran Bretagna non ha mai ricevuto ciò che le spettava.
Certamente molti scrittori sanno che era qualcosa di raro, un
avvenimento unico, non esisteva altro come lei nel pianeta, lo stesso
vale per molti lettori stregati e ispirati. Ma per qualche ragione
ella non occupava il posto che le competeva- al centro della
letteratura del suo tempo, nel suo cuore. Com'è triste che simili
scrittori debbano morire prima che concediamo il loro posto nel
pantheon. Certamente Angela Carter era consapevole di chi fosse. Ma
potevamo dirglielo a voce più alta e più frequentemente di quanto
abbiamo fatto e di questo ne siamo altrettanto consapevoli.
Troppi tra i più grandi
scrittori del mondo sono morti troppo presto. Italo Calvino, Bruce
Chatwin, Raymond Carver e ora Angela sotto stati zittiti mentre le
loro voci erano nel bel mezzo delle loro canzoni.
L'ultimo romanzo di
Angela, Figlie sagge, era anche il suo migliore. In esso noi
sentiamo l'intera gamma della sua grandezza, la voce della vita vera.
Il romanzo è scritto con il suo marchio unico dell'allegria mortale.
Si ridacchia allegramente
quando impala il secolo attraverso i suoi scherzi. Come tutte le sue
opere, è la celebrazione della sensualità, della vita. Più in
particolare, celebra la parte sbagliata del percorso e anche la parte
sbagliata della globalità. È una pernacchia che risuona dal sud di
Londra, attraverso il Tamigi, un inno alla bastardaggine (e il
romanzo è un genere bastardo, non dimenticatelo, perciò i
romanzieri devono sempre difendere i bastardi).
Angela Carter era colei
che faceva sberleffi, una profanatrice di vacche sacre. Non ama altra
così tanto come l'ostinato e allegro anticonformismo. I suoi libri
ci liberano, rovesciando le statue del pomposo, demolendo i templi e
i dipartimenti di rettitudine. Essi traggono la loro forza, la loro
vitalità , da tutto ciò che è fuorviante, illegittimo, basso. Essi
non hanno uguali, né rivali.
Con la morte di Angela
Carter la letteratura inglese ha perso la sua somma incantatrice, la
sua benevolente regina/strega, un'artista burlesca di antichi genio e
grazia. Chi di noi ha perso un'amica a malapena riesce a credere che
non ci saranno più conversazioni di due ore al telefono con quella
voce che poteva salire ad altezze di passione scatologica o piombare
giù, nei suoi momenti più letali, in una sorta di piccolo tubare di
ragazza. Privati della fata regina, non possiamo trovare il magico
che poteva guarirci. Né vogliamo essere guariti, non ancora.
Ci sediamo a guardare nel
buco enorme che la sua morte ha lasciato e, mentre guardiamo nel
cratere della nostra perdita, ricordiamo .
È morta il 16 febbraio.
Tre settimane prima aveva consegnato ad Angela un lungo saggio che
avevo scritto su uno dei suoi film preferiti, Il Mago di Oz, e
le aveva chiesto se potessi dedicarglielo. Lei accettò. Non ho mai
saputo se sia mai stata in grado di leggerlo, il che è triste . Ma
almeno in quella dedica ero in grado di dire un po' di quello che
sentivo .
Quando Dorothy chiedi alla
regina buona Glinda se il mago di Oz sia buono o cattivo, Glinda
risponde che è "un mago molto buono....ma molto misterioso".
Il mago di Oz si rivela
essere una frode . Ma Angela Carter fu invece un'ottima maga, forse
anche la prima maga in assoluto. Un'ottima maga, una carissima amica.
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