sabato 15 marzo 2014

LOVECRAFT E IL CINEMA: RAPPRESENTARE L’INDICIBILE




Howard Philips Lovecraft, insieme ad Edgar Allan Poe, è considerato uno dei maggiori scrittori della letteratura dell'orrore, nonché il precursore del genere fantascientifico.
Il suo mondo popolato di creature mostruose nate dagli incubi, fortemente perturbante e originale nella sua creazione, ha fornito ispirazione a successivi scrittori e artisti, ma anche alla cultura popolare, alla musica e al cinema.
Esseri come Cthulhu (sacerdote dei Grandi Antichi), Azathoth (“the blind idiot God”), Yog-Sothoth (orribile guardiano della porta della conoscenza proibita) e Nyarlathotep, portatore di pazzia, morte e distruzione, appaiono improvvisamente in tutto il loro orrore, rendendo impossibile allo spettatore descrivere completamente la loro mostruosità e lo sgomento che provocano.
Rappresentare perciò il mondo “indicibile” lovecraftiano non è un'impresa semplice; quest'universo, nato dalle paure dell'autore, è popolato da creature simboliche e non assimilabili a nulla di conosciuto, rappresentando quell'altrove che è l'ignoto, il baratro della conoscenza, il nulla angoscioso.
Essi, nella loro assurdità e informità, rappresentano la sessualità grottesca, l'irrazionalità e la follia rimossi e nascosti nel nostro inconscio, riflettono il fallimento della pura razionalità e delle certezze tipiche del progresso.
Rappresentare un pantheon così personale è dunque un'impresa ardua, soprattutto per il cinema, per questo motivo i registi che si sono trovati a reinterpretare visivamente la produzione lovecraftiana hanno compiuto scelte svariate: alcuni hanno rappresentato l'indicibilità del mostruoso attraverso immagini barocche, eccessive, spesso grottesche, altri hanno preferito trattenersi sulla linea di confine del non detto e il non mostrato interamente, preferendo un orrore più di atmosfera.
Probabilmente ognuno ha proposto la propria interpretazione dell'orrore indicibile, la propria visione delle immagini che si presentano oltre la soglia della follia.
Per questa ragione spesso tali adattamenti non hanno suscitato l'entusiasmo degli appassionati del visionario di Providence; ognuno nella sua fantasia aveva creato un'immagine del mondo lovecraftiano, capace di far emergere i nostri terrori personali, che era ben diversa dalla rappresentazione visiva.
D'altro canto H.P. Lovecraft non amava particolarmente il cinema, guardava a quest'arte con molta diffidenza, soprattutto all'idea di una possibile trasposizione cinematografica delle sue opere.
In una lettera al poeta Richard Morse infatti scrisse:1
I shall never permit anything bearing my signature to be banalised and vulgarised into the flat, infantile twaddle which passes for ‘horror tales’ amongst radio and cinema audiences.

Egli riteneva quindi opportuno che le sue storie rimanessero nell'ambito della letteratura, temendo una loro banalizzazione e volgarizzazione e, probabilmente, non si sarebbe ritenuto soddisfatto di fronte alla maggior parte delle trasposizione cinematografiche delle sue opere che sono state realizzate nei decenni successivi.
Non si giudica ovviamente una trasposizione cinematografica in base alla maggior o minore fedeltà al testo di partenza, ma quello che ci si propone di compiere con quest'analisi è una breve indagine sui tentativi compiuti da diversi registi nel rappresentare visivamente l'”indicibilità” dell'orrore lovecraftiano, secondo quelle che erano le caratteristiche da lui indicate nel saggio Supernatural Horror in Literature.
Il suo stile, da lui definito “supernatural horror” o “cosmic horror”, era ben diverso da quello di un altro maestro della letteratura del brivido, E.A. Poe, più incentrato sugli stati distorti della psiche umana.
Il punto di partenza delle opere di Lovecraft era ciò che egli definiva “the oldest and strongest emotion of mankind”2, cioè il terrore (ma anche l'attrazione) dell'ignoto, sulla base di tale affermazione costruì un pantheon nato dai suoi incubi, composto da divinità/mostri ancestrali che provenivano dalle regioni più remote e sconosciute dell'universo ma che, allo stesso tempo, erano stati i nostri progenitori.
Nacquero così i miti di Cthulhu, quei segreti oscuri che una volta scoperti non potevano che causare la morte o la follia dell'incauto protagonista, il cui terribile aspetto poteva solo essere parzialmente reso dalle parole a causa dell'incapacità della mente umana di comprenderne l'orrore.
Rappresentare tale universo nato dai sogni dello scrittore è certamente una sfida per un regista, soprattutto se si prefigge di ricreare l’"atmosfera” (concetto così caro al visionario di Providence) dei suoi racconti. Come infatti Lovecraft affermava: 3


The true weird tale has something more than secret murder, bloody bones, or a sheeted form clanking chains according to rule. A certain atmosphere of breathless and unexplainable dread of outer, unknown forces must be present, and there must be a hint, expressed with a seriousness and portentousness becoming its subject, of that most terrible conception of the human brain- a malign and particular suspension of defeat of those fixed laws of Nature which are our only safeguard against the assaults of chaos and the dæmons of umplumbed space(...) Atmosphere is the all important thing, for the final criterion of authenticity is not the dovetailing of a plot but the creation of a given sensation. We may say, as a general thing, that a weird story whose intent is to teach or produce a social effect, or one in which the horrors are finally explained away by natural means, is not a genuine tale of cosmic fears...


Inoltre poneva una distinzione tra il proprio genere e quello che definiva “le conte cruel”, basato soprattutto sugli orrori e le torture fisiche: il terrore primario dei suoi personaggi non il dolore e la morte fisica, quando la caduta di ogni certezza e punto di riferimento, il disorientamento e la perdita di sé di fronte all'ignoto.
I film scelti in quest’analisi sono solo una minima parte tra la vasta produzione cinematografica ispirata all’opera lovecraftiana, ma si ritiene che possano essere rappresentativi di due filoni principali, quello che rende manifesto l'indicibile, e quello che invece predilige rimanere sulla linea di confine tra il detto e il non detto e il non mostrato, lasciando spazio all'interpretazione del pubblico.
La filmografia cui si farà riferimento sarà la seguente: The Haunted Palace di R.Corman, Dagon e H. P. Lovecraft's Dreams in the Witch House di Stuart Gordon, The Resurrected di Dan O'Bannon, The Call of Cthulhu di Andrew Leman, Colour from the Dark di Ivan Zucconi, Necronomicon di Christopher Gans, Shusuke Kaneko e Brian Yuzna.


Il primo regista ad affrontare una trasposizione di un racconto lovecraftiano fu Roger Corman, divenuto celebre grazie alle sue trasposizioni a basso costo delle opere di Poe.
Nel 1963 realizzò di The Haunted Palace, un film che prendeva il titolo e la citazione iniziale da una poesia di Poe, ma che in realtà traeva ispirazione da due racconti di Lovecraft, Charles Dexter Ward e The Dunwich Horror.
La scelta del titolo non era che frutto di una strategia della casa di produzione, poiché si temeva che la mancanza di riferimenti a Poe avrebbe creato malcontento nel pubblico, ormai affezionato alla serie di film dedicati a questo autore.
Si deve inoltre riconoscere a Corman di essere stato uno dei primi a subire il fascino della scrittura di Lovecraft che era stata relegata in una nicchia dedicata solo agli amanti del genere.
Corman inoltre, nonostante i limiti posti da una produzione a basso costo, riesce a cogliere quelle che sono le caratteristiche dell'atmosfera lovecraftiana, impresa che riuscirà in seguito a pochi.
Significativa è la scena degli abitanti “mutanti” di Arkham, la cui mostruosità viene strategicamente rivelata a gradi attraverso inquadrature e giochi di luce, fino a raggiungere l'apice del terrore quando circondano i protagonisti, per poi scomparire subito dopo in seguito al suono di una campana.
Intelligente si è inoltre dimostrata la scelta di suggerire il mostro proveniente dagli abissi, attraversi inquietanti immagini distorte, piuttosto che palesarlo, evitando di cadere nel ridicolo come spesso accadeva con i mostri/baraccone dei film a basso budget.

The Resurrected è invece un film del 1992, diretto dallo scrittore, sceneggiatore e regista Dan O'Bannon; come la maggior parte degli adattamenti delle opere lovecraftiane è un film a basso budget e di ciò ne risente la realizzazione, soprattutto a livello interpretativo (anche se nel cast è presente Chris Saradon, che nella parte di Dexter Ward ricorda il Vincent Price dei film di Corman).
Da segnalare comunque le strategie per creare l'atmosfera dell'”indicibile” perturbante, soprattutto nell'ultima mezz'ora di film.
Le mostruose creature del mad scientist in questo caso sono realizzate in modo abbastanza credibile, eppure il regista sceglie di alternare il buio a improvvisi sprazzi di luce per mostrare e allo stesso tempo nascondere l'orrore che si manifesta di fronte ai personaggi che stanno esplorando gli infernali scantinati di Dexter Ward.
A calare lo spettatore nelle abbiette visioni che emergono dall'oscurità concorrono anche le rapide inquadrature sulle espressioni terrorizzate degli attori, su cui la luce delle lampade a olio delinea lo smarrimento di fronte all'ignoto.
In questo modo una storia che parte come un noir di serie B riesce a rendere, nella sua parte finale, l'idea lovecraftiana di terrore dell'ignoto.

Nel 1993 tre registi, Christopher Gans, Shusuke Kaneko e Brian Yuzna, si uniscono per realizzare tre episodi, omaggio al solitario di Providence, uniti da una storia cornice.
Nasce così H.P Lovecraft's Necronomicon, in cui i tre filmati (di mezz'ora circa) si propongono più come rielaborazione delle atmosfere lovecraftiane che veri e proprio adattamenti cinematografici delle sue storie.
Il tutto viene collegato da un episodio-cornice, diretto da Yuzna, in cui vediamo Lovecraft stesso entrare di soppiatto all'interno di una stanza di una biblioteca dove viene custodito l'oscuro testo del Necronomicon, per cui i vari episodi sarebbero le visioni che egli ha durante la sua lettura.
In realtà delle atmosfere dell'autore non rimane molto, soprattutto per quanto riguarda l'episodio finale diretto da Yuzna (Whispers, vagamente ispirato a The Whispers in the Darkness e a The Nameless City), in cui è invece l'immaginario fortemente gore e caoticamente grottesco del regista a emergere, facendo prevalere più il terrore per la propria integrità fisica che mentale.
Qualche spunto dell'immaginario cosmico si trova però nel racconto-cornice, anche se è mischiato a un'ironia macabra tipica di Yuzna, che spezza nelle sequenze finali la tensione davanti all'ignoto.
In The Drowned di Gans, ispirato a The Rats in the Walls, The Call of Cthullhu e a diversi altri racconti, l'atmosfera spiccatamente gotica, resa tale anche dall'uso di luci e di colori opachi, risente però anche molto della filmografia di Corman e delle sue interpretazioni degli scritti di E.A. Poe.
Ciò è riscontrabile nel motivo del ritratto di una donna defunta, dell'amore che non si rassegna davanti alla morte, nel lugubre palazzo che si affaccia su uno strapiombo sul mare, tipico dei film di Corman.
Viene infranta però questa realizzazione gotica da un poco credibile mostro/baraccone (e in questo caso avrebbe forse dovuto seguire l'esempio di Corman sulla realizzazione di sequenza perturbanti in film a basso costo), inoltre si avverte il tentativo di conciliare quella che sembra una ghost-story alla Poe con l'orrore cosmico lovecraftiano.
Molto più vicino alle atmosfere tipiche del supernatural horror è Cool Air, l'episodio diretto da Kaneko, liberamente ispirato all'omonimo racconto.
Sebbene compia uno stravolgimento dei personaggi, aggiungendo elementi da dramma sentimentale e di analisi psicologica che sono ovviamente estranei allo spirito lovecraftiano, motivi come quello della conoscenza proibita, dell'ambigua percezione del corpo, del male che sembra insidiarsi in ogni luogo e della ricerca dell'immortalità a ogni costo, vengono resi attraverso una graduale rivelazione degli enigmi presenti fin dall'inizio del racconto, con la “punizione” finale di chi avrebbe voluto conoscere e sapere troppo.
Stuart Gordon è un regista che ha più volte affrontato adattamenti e trasposizioni delle opere lovrecraftiane, ma solo ultimamente è riuscito ad avvicinarsi alle sue atmosfere.
Quello che viene considerato il suo film più famoso, per il successo di pubblico, è Re-Animator, ispirato al racconto Herbert West- The reanimator ma questa commedia horror e splatter, dall'umorismo grottesco, poco ha a che vedere con le drammatiche e inquietanti atmosfere di sospensione descritte dall'autore.
Il tutto si risolve con un semplice esposizione barocca di membra umane che nello spettatore possono al massimo produrre un sorriso misto a disgusto, non certo inquietudine.
Molto più interessanti invece, all'interno di questa analisi, sono il film Dagon e l'episodio realizzato per la serie televisiva Masters of Horror, Dreams in the Witch House.

Dagon è un film del 2001, liberamente ispirato ai racconti Dagon e The Shadow Over Innsmouth; l'ambientazione viene spostata dal New England a una misteriosa isola spagnola in cui approda la coppia protagonista, in seguito a una tempesta marina.
Il nome dell'isola, Imboca, è un'evidente traduzione dall'inglese allo spagnolo di Innsmouth, di cui conserva l'atmosfera di ignoto e incomunicabilità, amplificata dall'incapacità dei protagonisti di comunicare e comprendere gli abitanti del posto.
La realizzazione dello scenario del villaggio rievoca le suggestioni dei luoghi maledetti descritti da Lovecraft: Imboca infatti, oltre ad essere semi fatiscente, è anche costantemente bagnato dalla pioggia, dando una sensazione di disturbo che giunge allo spettatore sottile ma percepibile.
Indicativa di tale atmosfera è la fotografia, in cui predominano il blu e il giallo tendono a sopraffare gli altri colori, dando la sensazione che l'intera pellicola sia ambientata sott'acqua.
La tendenza al gore del regista, sebbene emerga in varie sequenze, viene in questo caso controbilanciata da una buona interpretazione degli attori (sebbene poco noti) e da una capacità di creare un'atmosfera di attesa e sospensione che troverà sfogo nella rivelazione finale.
Le stesse deformità e le ibridazioni dei corpi degli abitanti verranno solo rivelate gradualmente, prima coperte da mantelli, copricapi e sciarpe, per poi manifestarsi in modalità sempre più amplificate.
L'ambientazione notturna e tempestosa concorre a mostrare progressivamente il perturbante che, nelle ultime scene diverrà unione di repulsione e attrazione, soprattutto nella graziosa e terribile figura di Uxia, la sacerdotessa di Imboca.
L'entità mostruosa di Dagon viene mostrata fuggevolmente, comunicando però una sensazione di immensità terribile e spiazzante, mentre la figura di Chtuluh, il capo del paese, riprende le raffigurazioni più note di illustrazioni e fumetti.
Il finale mira a indicare come la mostruosità sia in realtà anche la nostra parte nascosta che non dobbiamo temere di affrontare e vivere.

H. P. Lovecraft's Dreams in the Witch House è un episodio realizzato nel 2005 per la serie televisiva Masters of Horror che, nonostante non sia un prodotto per il cinema, merita d'essere menzionato in quest'analisi per la rappresentazione del concetto di perturbanti geometrie non euclidee.
Ispirato al racconto The Dreams in the Witch House, questo mediometraggio racconta la storia di Walter Gilman, uno studente universitario impegnato in ricerche sulle dimensioni parallele, affitta così una camera nella città di Arkham, dove però incomincia a essere assalito da strani incubi, in cui si manifesta una strega del XVII secolo. Il ragazzo cercherà di salvare il figlio della sua vicina di pianerottolo, Danny, da queste forze oscure, mettendo anche in pericolo la propria vita.
Il pessimismo e le atmosfere claustrofobiche del racconto vengono riportate in questo episodio, con aggiunta di alcuni efficaci particolari inquietanti, come il ratto dalla faccia umana, rivelandosi meno splatter del solito, molto più gotico nelle atmosfere lugubri.
Interessante soprattutto e la realizzazione delle geometrie non euclidee lovecraftiane, concentrate in un particolare angolo della stanza, un luogo apparentemente insignificante, ma che nell'anomala distorsione delle sue linee desta inquietudine, in quanto soglia verso una dimensione ignota e non umanamente comprensibile.
Questa sensazione di disorientamento, “l'atmosfera” di cui parlava Lovecraft nel suo saggio, sarebbe dunque stata compresa e rappresentata dal regista, con un'efficacia rara nei vari adattamenti realizzati, riuscendo a mantenersi in equilibrio tra il tema della follia e la possibilità di orrori indicibili nascosti in ogni “angolo”.

Nel 2005 la HP Lovecraft Historical Society (società che promuove la realizzazione di opere letterarie, film, musiche, giochi, spettacoli teatrali e radiofonici basati sulla produzione dello scrittore) produce un film in bianco e nero muto, The Call of Cthulhu, che si propone come adattamento dell'omonimo racconto così come sarebbe stato realizzato nel 1926, anno in cui fu pubblicato lo scritto.
Il regista è Andrew Leman e per realizzare il film ha usato la tecnica del Mythoscope, un miscuglio di tecniche vecchie e moderne, per dare all'opera l'adatta patina vintage.
Lo zoom viene così abbandonato, si utilizzano didascalie e si ritorna allo stop-motion, o tecnica del fotogramma per fotogramma, realizzando una sorta di falso d'autore, che è anche un omaggio al cinema espressionista.
La trama segue molto da vicino quella del racconto, con pochi cambiamenti, ma soprattutto riesce a ricreare in modo convincente le atmosfere lovecraftiane.
L'uso del bianco e nero inoltre ha anche risolto il problema del basso budget, in quanto il regista non doveva preoccuparsi troppo dei materiali scenografici.
Eppure Leman riesce a creare un'opera che ricorda i capolavori dell'espressionismo tedesco, in particolare Das Cabinet des Dr. Caligari, grazie alla rappresentazione onirica della città di R'yelh che, nella povertà dei mezzi, mostra delle strutture dagli angoli e dalle geometrie spigolose, disorientanti e folli.
La colonna sonora concorre a creare un crescendo di smarrimento e panico, attraverso il quale si dispiega l'indicibile e l'irrappresentabile.
Gli sfondi e i modellini usati per alcune scene sono semplici ma ben realizzati, evitando di esibire troppo per evitare di ottenere un effetto poco verosimile che in genere presentano simili produzioni.
L'apparizione di Cthulhu viene annunciata a gradi, attraverso ombre e inquadrature che ne rivelano lentamente l'orrore, ma più che la creatura in se stessa, a generare turbamento è l'effetto che genera nei personaggi, rappresentando l'incapacità degli essere umani di comprendere e sopravvivere all'ignoto.
Significativa è infatti la sequenza in cui un marinaio, riuscito a sfuggire a Cthulhu, morirà poco dopo per lo spavento subito, con i capelli imbiancati e gli occhi sanguinanti poiché hanno dovuto vedere ciò che agli esseri umani e precluso.
Il tema della follia davanti l'ignoto permea infatti tutto il film, a cominciare dalla prima sequenza in cui ci viene mostrato il quadro di Van Gogh, Notte Stellata, in cui le linee vorticose rimandano allo smarrimento di un uomo che si trova improvvisamente davanti a un baratro.

Altro esempio di interessante produzione a basso costo è Colour from the Dark, un film del 2008 di Ivan Zuccon, ispirato al racconto The Colour Out of Space.
Con solo 100000 euro di budget il regista riesce a realizzare in modo convincente l'indicibile lovecraftiano, attraverso particolari scelte di luci, montaggio e di trama.
L'ambientazione viene spostata dal New England di fine XIX secolo alla campagna ferrarese durante la Seconda Guerra Mondiale e l'orrore nel pozzo non sembra essere venuto dal cielo, quanto dagli abissi della terra.
La scelta del contesto storico è significativa: il capofamiglia, Pietro, ha evitato l'orrore del conflitto bellico “grazie” a un difetto della gamba e la guerra sembra non toccare quei luoghi se non tramite l'attesa di notizie sul fratello arruolato.
Eppure l'orrore giunge nel pozzo della tenuta, attraverso delle iridescenze misteriose che provengono dal pozzo.
L'irrappresentabilità e l'indicibilità dell'orrore permeano tutta la vicenda: li troviamo nel personaggio della sorella minore, Alice, malata di mente, la prima ad accorgersi delle strane presenze, che utilizza gli “occhi” della sua bambola di pezza come filtro per affacciarsi sull'ignoto, nell'angolo del sottoscala in cui s'incrociano obliquamente delle linee che inquietano Alice, nel “colore” perturbante mostrato attraverso giochi di luce informi, nelle dissolvenze in nero che caratterizzano i passaggi di scena.
L'incommensurabilità dell'orrore si vede solo dagli effetti che produce: dopo i primi cambiamenti in “positivo” (Pietro guarisce dalla sua zoppia, Alice incomincia a parlare, l'orto dà frutti enormi), verranno, in crescendo, quelli negativi (le verdure dell'orto avranno un sapore amaro e marciranno rapidamente, Lucia, la moglie di Pietro, si trasformerà in una psicopatica assassina la cui follia si estenderà a tutti gli abitanti della casa).
Si passerà così dai colori luminosi dell'estate nelle campagne emiliane a toni sempre più spenti e cupi, fino all'oscurità assoluto, simboli di un male che corrode gradualmente l'integrità fisica e mentale.
Lasciando un interrogativo: si tratta veramente di un male ultraterreno o è frutto della follia dell'isolamento e del timore del conflitto mondiale che, seppur non visto, è una minaccia di morte e annientamento reale?
Nel film volutamente non viene data una risposta perché, come ha affermato Lovecraft, l'orrore cosmico non necessita di spiegazioni.
La capacità di realizzare le atmosfere dell'orrore cosmico lovecraftiano va dunque al di là delle capacità tecniche o dei budget a disposizione (anche se si deve sottolineare che le case di produzione hanno sempre avuto poca fiducia negli adattamenti di questi racconti).
Ciò però non sembra però essere nemmeno impossibile e la possibilità di tradurre in immagini l'indicibile è stata intuita da alcuni registi come Zuccon e Leman che sono riusciti a rimanere in precario equilibrio tra ignoto e follia, creando uno stato di tensione perenne nello spettatore.
La scelta più difficile, cioè quella del non cadere in facili spettacolarizzazioni ed effetti raccapriccianti, spesso è risultata essere la più congeniale per rappresentare lo spirito del mondo lovecraftiano, facendo intravedere, senza svelare completamente, quei mondi impensabili che si annidano nelle oscurità del nostro inconscio.
In questo caso non si avrà il “flat, infantile twaddle” che temeva Lovecraft, bensì modi inaspettati di rappresentare l'irrappresentabile, riproponendo nel cinema l'atmosfera disorientante del supernatural horror, attraverso creature amorfe, impensabili e annidate nel nostro subconscio.
Poiché esse non sono altro che le nostre paure più inconfessabili che, probabilmente, non potrebbero essere veramente svelati da nessuna rappresentazione troppo barocca e manifesta.


1 A.Migliore- J.Strysik-B.Wrightson-L. Moyer , 2006, p.1
2 H.P. Lovecraft, 1973, p. 12

3 Id., 1973, p.15


FILMOGRAFIA

La città dei mostri (The Haunted Palace), regia di Roger Corman (1963), tratto da Il caso di Charles Dexter Ward

La morte dall'occhio di cristallo (Die, Monster, Die), regia di Daniel Haller (1965), tratto da Il colore venuto dallo spazio

La porta sbarrata (The Shuttered Room), regia di David Greene (1966), tratto da La porta sbarrata (scritto con August Derleth)

Black Horror - Le messe nere (Curse of the Crimson Altar), regia di Vernon Sewell (1968), tratto da La casa delle streghe

Le vergini di Dunwich (The Dunwich Horror), regia di Daniel Haller (1969), tratto da L'orrore di Dunwich

Re-Animator, regia di Stuart Gordon (1985), tratto da Herbert West: Rianimatore

From Beyond - Terrore dall'ignoto (From Beyond), regia di Stuart Gordon (1986), tratto da From Beyond

La fattoria maledetta (The Curse), regia di David Keith (1987), tratto da Il colore venuto dallo spazio

La creatura (The Unnamable), regia di Jean-Paul Ouellette (1988), tratto da L’innominabile

Re-Animator 2 (Bride of Re-animator), regia di Brian Yuzna (1990), tratto da Herbert West: Rianimatore

The Resurrected, regia di Dan O'Bannon (1992), tratto da Il caso di Charles Dexter Ward

The Lurking Fear, regia di C. Courtney Joyner (1994), tratto da The Lurking Fear

Hemoglobin - creature dall'inferno (Bleeders), regia di Peter Svatek (1997), tratto da The Lurking Fear

Cool Air, regia di Bryan Moore (1999), tratto da Cool Air

Dagon - La mutazione del male (Dagon), regia di Stuart Gordon (2001), tratto da La maschera di Innsmouth e Dagon

The Eldritch Influence: The Life, Vision and Phenomenon of H.P. Lovecraft, regia di Shawn R. Owens - documentario (2003)

H.P. Lovecraft - Ipotesi di un viaggio in Italia, regia di Federico Greco e Roberto Leggio - documentario (2004)

Il mistero di Lovecraft - Road to L., regia di Federico Greco e Roberto Leggio - documentario (2005)

Il custode (Mortuary), regia di Tobe Hooper (2005), tratto da  Il richiamo di Cthulhu

The Call of Cthulhu, regia di Andrew Leman (2005), tratto da Il richiamo di Cthulhu

Cthulhu, regia di Dan Gildark (2007), tratto da La maschera di Innsmouth

The Whisperer in Darkness, regia di Sean Branney (2011), tratto da Colui che sussurrava nelle tenebre

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