Howard
Philips Lovecraft, insieme ad Edgar Allan Poe, è considerato uno
dei maggiori scrittori della letteratura dell'orrore, nonché il
precursore del genere fantascientifico.
Il suo mondo
popolato di creature mostruose nate dagli incubi, fortemente
perturbante e originale nella sua creazione, ha fornito ispirazione a
successivi scrittori e artisti, ma anche alla cultura popolare, alla
musica e al cinema.
Esseri come
Cthulhu (sacerdote dei Grandi Antichi), Azathoth (“the blind idiot
God”), Yog-Sothoth (orribile guardiano della porta della conoscenza
proibita) e Nyarlathotep, portatore di pazzia, morte e distruzione,
appaiono improvvisamente in tutto il loro orrore, rendendo
impossibile allo spettatore descrivere completamente la loro
mostruosità e lo sgomento che provocano.
Rappresentare
perciò il mondo “indicibile” lovecraftiano non è un'impresa
semplice; quest'universo, nato dalle paure dell'autore, è popolato
da creature simboliche e non assimilabili a nulla di conosciuto,
rappresentando quell'altrove che è l'ignoto, il baratro della
conoscenza, il nulla angoscioso.
Essi, nella
loro assurdità e informità, rappresentano la sessualità grottesca,
l'irrazionalità e la follia rimossi e nascosti nel nostro inconscio,
riflettono il fallimento della pura razionalità e delle certezze
tipiche del progresso.
Rappresentare
un pantheon così personale è dunque un'impresa ardua, soprattutto
per il cinema, per questo motivo i registi che si sono trovati a
reinterpretare visivamente la produzione lovecraftiana hanno compiuto
scelte svariate: alcuni hanno rappresentato l'indicibilità del
mostruoso attraverso immagini barocche, eccessive, spesso grottesche,
altri hanno preferito trattenersi sulla linea di confine del non
detto e il non mostrato interamente, preferendo un orrore più di
atmosfera.
Probabilmente
ognuno ha proposto la propria interpretazione dell'orrore indicibile,
la propria visione delle immagini che si presentano oltre la soglia
della follia.
Per questa
ragione spesso tali adattamenti non hanno suscitato l'entusiasmo
degli appassionati del visionario di Providence; ognuno nella sua
fantasia aveva creato un'immagine del mondo lovecraftiano, capace di
far emergere i nostri terrori personali, che era ben diversa dalla
rappresentazione visiva.
D'altro canto
H.P. Lovecraft non amava particolarmente il cinema, guardava a
quest'arte con molta diffidenza, soprattutto all'idea di una
possibile trasposizione cinematografica delle sue opere.
In una
lettera al poeta Richard Morse infatti scrisse:1
I shall never permit anything bearing my signature to be banalised
and vulgarised into the flat, infantile twaddle which passes for
‘horror tales’ amongst radio and cinema audiences.
Egli riteneva
quindi opportuno che le sue storie rimanessero nell'ambito della
letteratura, temendo una loro banalizzazione e volgarizzazione e,
probabilmente, non si sarebbe ritenuto soddisfatto di fronte alla
maggior parte delle trasposizione cinematografiche delle sue opere
che sono state realizzate nei decenni successivi.
Non si
giudica ovviamente una trasposizione cinematografica in base alla
maggior o minore fedeltà al testo di partenza, ma quello che ci si
propone di compiere con quest'analisi è una breve indagine sui
tentativi compiuti da diversi registi nel rappresentare visivamente
l'”indicibilità” dell'orrore lovecraftiano, secondo quelle che
erano le caratteristiche da lui indicate nel saggio Supernatural
Horror in Literature.
Il suo stile,
da lui definito “supernatural horror” o “cosmic horror”, era
ben diverso da quello di un altro maestro della letteratura del
brivido, E.A. Poe, più incentrato sugli stati distorti della psiche
umana.
Il
punto di partenza delle opere di Lovecraft era ciò che egli definiva
“the oldest and strongest emotion of mankind”2,
cioè il terrore (ma anche l'attrazione) dell'ignoto, sulla base di
tale affermazione costruì un pantheon nato dai suoi incubi, composto
da divinità/mostri ancestrali che provenivano dalle regioni più
remote e sconosciute dell'universo ma che, allo stesso tempo, erano
stati i nostri progenitori.
Nacquero così
i miti di Cthulhu, quei segreti oscuri che una volta scoperti non
potevano che causare la morte o la follia dell'incauto protagonista,
il cui terribile aspetto poteva solo essere parzialmente reso dalle
parole a causa dell'incapacità della mente umana di comprenderne
l'orrore.
Rappresentare
tale universo nato dai sogni dello scrittore è certamente una sfida
per un regista, soprattutto se si prefigge di ricreare l’"atmosfera”
(concetto così caro al visionario di Providence) dei suoi racconti.
Come infatti Lovecraft affermava: 3
The
true weird tale has something more than secret murder, bloody bones,
or a sheeted form clanking chains according to rule. A certain
atmosphere of breathless and unexplainable dread of outer, unknown
forces must be present, and there must be a hint, expressed with a
seriousness and portentousness becoming its subject, of that most
terrible conception of the human brain- a malign and particular
suspension of defeat of those fixed laws of Nature which are our only
safeguard against the assaults of chaos and the dæmons of umplumbed
space(...) Atmosphere is the all important thing, for the final
criterion of authenticity is not the dovetailing of a plot but the
creation of a given sensation. We may say, as a general thing, that a
weird story whose intent is to teach or produce a social effect, or
one in which the horrors are finally explained away by natural means,
is not a genuine tale of cosmic fears...
Inoltre
poneva una distinzione tra il proprio genere e quello che definiva
“le conte cruel”, basato soprattutto sugli orrori e le torture
fisiche: il terrore primario dei suoi personaggi non il dolore e la
morte fisica, quando la caduta di ogni certezza e punto di
riferimento, il disorientamento e la perdita di sé di fronte
all'ignoto.
I film scelti
in quest’analisi sono solo una minima parte tra la vasta produzione
cinematografica ispirata all’opera lovecraftiana, ma si ritiene che
possano essere rappresentativi di due filoni principali, quello che
rende manifesto l'indicibile, e quello che invece predilige rimanere
sulla linea di confine tra il detto e il non detto e il non mostrato,
lasciando spazio all'interpretazione del pubblico.
La
filmografia cui si farà riferimento sarà la seguente: The
Haunted Palace di R.Corman, Dagon
e H. P. Lovecraft's Dreams in the Witch
House di Stuart Gordon, The
Resurrected di Dan O'Bannon, The
Call of Cthulhu di Andrew Leman, Colour
from the Dark di Ivan Zucconi,
Necronomicon
di Christopher Gans, Shusuke Kaneko e Brian Yuzna.
Il primo
regista ad affrontare una trasposizione di un racconto lovecraftiano
fu Roger Corman, divenuto celebre grazie alle sue trasposizioni a
basso costo delle opere di Poe.
Nel
1963 realizzò di The Haunted Palace,
un film che prendeva il titolo e la citazione iniziale da una poesia
di Poe, ma che in realtà traeva ispirazione da due racconti di
Lovecraft, Charles Dexter Ward
e The Dunwich Horror.
La scelta del
titolo non era che frutto di una strategia della casa di produzione,
poiché si temeva che la mancanza di riferimenti a Poe avrebbe creato
malcontento nel pubblico, ormai affezionato alla serie di film
dedicati a questo autore.
Si deve
inoltre riconoscere a Corman di essere stato uno dei primi a subire
il fascino della scrittura di Lovecraft che era stata relegata in una
nicchia dedicata solo agli amanti del genere.
Corman
inoltre, nonostante i limiti posti da una produzione a basso costo,
riesce a cogliere quelle che sono le caratteristiche dell'atmosfera
lovecraftiana, impresa che riuscirà in seguito a pochi.
Significativa
è la scena degli abitanti “mutanti” di Arkham, la cui
mostruosità viene strategicamente rivelata a gradi attraverso
inquadrature e giochi di luce, fino a raggiungere l'apice del terrore
quando circondano i protagonisti, per poi scomparire subito dopo in
seguito al suono di una campana.
Intelligente
si è inoltre dimostrata la scelta di suggerire il mostro proveniente
dagli abissi, attraversi inquietanti immagini distorte, piuttosto che
palesarlo, evitando di cadere nel ridicolo come spesso accadeva con i
mostri/baraccone dei film a basso budget.
The
Resurrected è invece un film del 1992,
diretto dallo scrittore, sceneggiatore e regista Dan O'Bannon; come
la maggior parte degli adattamenti delle opere lovecraftiane è un
film a basso budget e di ciò ne risente la realizzazione,
soprattutto a livello interpretativo (anche se nel cast è presente
Chris Saradon, che nella parte di Dexter Ward ricorda il Vincent
Price dei film di Corman).
Da segnalare
comunque le strategie per creare l'atmosfera dell'”indicibile”
perturbante, soprattutto nell'ultima mezz'ora di film.
Le
mostruose creature del mad scientist
in questo caso sono realizzate in modo abbastanza credibile, eppure
il regista sceglie di alternare il buio a improvvisi sprazzi di luce
per mostrare e allo stesso tempo nascondere l'orrore che si manifesta
di fronte ai personaggi che stanno esplorando gli infernali
scantinati di Dexter Ward.
A calare lo
spettatore nelle abbiette visioni che emergono dall'oscurità
concorrono anche le rapide inquadrature sulle espressioni
terrorizzate degli attori, su cui la luce delle lampade a olio
delinea lo smarrimento di fronte all'ignoto.
In questo
modo una storia che parte come un noir di serie B riesce a rendere,
nella sua parte finale, l'idea lovecraftiana di terrore dell'ignoto.
Nel 1993 tre
registi, Christopher Gans, Shusuke Kaneko e Brian Yuzna, si uniscono
per realizzare tre episodi, omaggio al solitario di Providence, uniti
da una storia cornice.
Nasce
così H.P Lovecraft's Necronomicon,
in cui i tre filmati (di mezz'ora circa) si propongono più come
rielaborazione delle atmosfere lovecraftiane che veri e proprio
adattamenti cinematografici delle sue storie.
Il
tutto viene collegato da un episodio-cornice, diretto da Yuzna, in
cui vediamo Lovecraft stesso entrare di soppiatto all'interno di una
stanza di una biblioteca dove viene custodito l'oscuro testo del
Necronomicon,
per cui i vari episodi sarebbero le visioni che egli ha durante la
sua lettura.
In
realtà delle atmosfere dell'autore non rimane molto, soprattutto per
quanto riguarda l'episodio finale diretto da Yuzna (Whispers,
vagamente ispirato a The Whispers in the
Darkness e a The
Nameless City),
in cui è invece l'immaginario fortemente gore e caoticamente
grottesco del regista a emergere, facendo prevalere più il terrore
per la propria integrità fisica che mentale.
Qualche
spunto dell'immaginario cosmico si trova però nel racconto-cornice,
anche se è mischiato a un'ironia macabra tipica di Yuzna, che spezza
nelle sequenze finali la tensione davanti all'ignoto.
In The
Drowned di Gans, ispirato a The
Rats in the Walls, The
Call of Cthullhu e a diversi altri
racconti, l'atmosfera spiccatamente gotica, resa tale anche dall'uso
di luci e di colori opachi, risente però anche molto della
filmografia di Corman e delle sue interpretazioni degli scritti di
E.A. Poe.
Ciò è
riscontrabile nel motivo del ritratto di una donna defunta,
dell'amore che non si rassegna davanti alla morte, nel lugubre
palazzo che si affaccia su uno strapiombo sul mare, tipico dei film
di Corman.
Viene
infranta però questa realizzazione gotica da un poco credibile
mostro/baraccone (e in questo caso avrebbe forse dovuto seguire
l'esempio di Corman sulla realizzazione di sequenza perturbanti in
film a basso costo), inoltre si avverte il tentativo di conciliare
quella che sembra una ghost-story
alla Poe con l'orrore cosmico lovecraftiano.
Molto
più vicino alle atmosfere tipiche del supernatural
horror è Cool
Air, l'episodio diretto da Kaneko,
liberamente ispirato all'omonimo racconto.
Sebbene
compia uno stravolgimento dei personaggi, aggiungendo elementi da
dramma sentimentale e di analisi psicologica che sono ovviamente
estranei allo spirito lovecraftiano, motivi come quello della
conoscenza proibita, dell'ambigua percezione del corpo, del male che
sembra insidiarsi in ogni luogo e della ricerca dell'immortalità a
ogni costo, vengono resi attraverso una graduale rivelazione degli
enigmi presenti fin dall'inizio del racconto, con la “punizione”
finale di chi avrebbe voluto conoscere e sapere troppo.
Stuart Gordon
è un regista che ha più volte affrontato adattamenti e
trasposizioni delle opere lovrecraftiane, ma solo ultimamente è
riuscito ad avvicinarsi alle sue atmosfere.
Quello
che viene considerato il suo film più famoso, per il successo di
pubblico, è Re-Animator,
ispirato al racconto Herbert West- The
reanimator ma questa commedia horror e
splatter, dall'umorismo grottesco, poco ha a che vedere con le
drammatiche e inquietanti atmosfere di sospensione descritte
dall'autore.
Il tutto si
risolve con un semplice esposizione barocca di membra umane che nello
spettatore possono al massimo produrre un sorriso misto a disgusto,
non certo inquietudine.
Molto
più interessanti invece, all'interno di questa analisi, sono il film
Dagon e l'episodio realizzato per la serie televisiva Masters
of Horror, Dreams
in the Witch House.
Dagon
è un film del 2001, liberamente ispirato ai racconti Dagon
e The Shadow Over Innsmouth;
l'ambientazione viene spostata dal New England a una misteriosa isola
spagnola in cui approda la coppia protagonista, in seguito a una
tempesta marina.
Il nome
dell'isola, Imboca, è un'evidente traduzione dall'inglese allo
spagnolo di Innsmouth, di cui conserva l'atmosfera di ignoto e
incomunicabilità, amplificata dall'incapacità dei protagonisti di
comunicare e comprendere gli abitanti del posto.
La
realizzazione dello scenario del villaggio rievoca le suggestioni dei
luoghi maledetti descritti da Lovecraft: Imboca infatti, oltre ad
essere semi fatiscente, è anche costantemente bagnato dalla pioggia,
dando una sensazione di disturbo che giunge allo spettatore sottile
ma percepibile.
Indicativa di
tale atmosfera è la fotografia, in cui predominano il blu e il
giallo tendono a sopraffare gli altri colori, dando la sensazione che
l'intera pellicola sia ambientata sott'acqua.
La tendenza
al gore del regista, sebbene emerga in varie sequenze, viene in
questo caso controbilanciata da una buona interpretazione degli
attori (sebbene poco noti) e da una capacità di creare un'atmosfera
di attesa e sospensione che troverà sfogo nella rivelazione finale.
Le stesse
deformità e le ibridazioni dei corpi degli abitanti verranno solo
rivelate gradualmente, prima coperte da mantelli, copricapi e
sciarpe, per poi manifestarsi in modalità sempre più amplificate.
L'ambientazione
notturna e tempestosa concorre a mostrare progressivamente il
perturbante che, nelle ultime scene diverrà unione di repulsione e
attrazione, soprattutto nella graziosa e terribile figura di Uxia, la
sacerdotessa di Imboca.
L'entità
mostruosa di Dagon viene mostrata fuggevolmente, comunicando però
una sensazione di immensità terribile e spiazzante, mentre la figura
di Chtuluh, il capo del paese, riprende le raffigurazioni più note
di illustrazioni e fumetti.
Il finale
mira a indicare come la mostruosità sia in realtà anche la nostra
parte nascosta che non dobbiamo temere di affrontare e vivere.
H.
P. Lovecraft's Dreams in the Witch House
è un episodio realizzato nel 2005 per la serie televisiva Masters
of Horror che, nonostante non sia un
prodotto per il cinema, merita d'essere menzionato in quest'analisi
per la rappresentazione del concetto di perturbanti geometrie non
euclidee.
Ispirato
al racconto The Dreams in the Witch
House, questo mediometraggio racconta
la storia di Walter Gilman, uno studente universitario impegnato in
ricerche sulle dimensioni parallele, affitta così una camera nella
città di Arkham, dove però incomincia a essere assalito da strani
incubi, in cui si manifesta una strega del XVII secolo. Il ragazzo
cercherà di salvare il figlio della sua vicina di pianerottolo,
Danny, da queste forze oscure, mettendo anche in pericolo la propria
vita.
Il pessimismo
e le atmosfere claustrofobiche del racconto vengono riportate in
questo episodio, con aggiunta di alcuni efficaci particolari
inquietanti, come il ratto dalla faccia umana, rivelandosi meno
splatter del solito, molto più gotico nelle atmosfere lugubri.
Interessante
soprattutto e la realizzazione delle geometrie non euclidee
lovecraftiane, concentrate in un particolare angolo della stanza, un
luogo apparentemente insignificante, ma che nell'anomala distorsione
delle sue linee desta inquietudine, in quanto soglia verso una
dimensione ignota e non umanamente comprensibile.
Questa
sensazione di disorientamento, “l'atmosfera” di cui parlava
Lovecraft nel suo saggio, sarebbe dunque stata compresa e
rappresentata dal regista, con un'efficacia rara nei vari adattamenti
realizzati, riuscendo a mantenersi in equilibrio tra il tema della
follia e la possibilità di orrori indicibili nascosti in ogni
“angolo”.
Nel
2005 la HP Lovecraft Historical Society
(società che promuove la realizzazione di opere letterarie, film,
musiche, giochi, spettacoli teatrali e radiofonici basati sulla
produzione dello scrittore) produce un film in bianco e nero muto,
The Call of Cthulhu,
che si propone come adattamento dell'omonimo racconto così come
sarebbe stato realizzato nel 1926, anno in cui fu pubblicato lo
scritto.
Il
regista è Andrew Leman e per realizzare il film ha usato la tecnica
del Mythoscope,
un miscuglio di tecniche vecchie e moderne, per dare all'opera
l'adatta patina vintage.
Lo zoom
viene così abbandonato, si utilizzano didascalie e si ritorna allo
stop-motion,
o tecnica del fotogramma per fotogramma, realizzando una sorta di
falso d'autore, che è anche un omaggio al cinema espressionista.
La trama
segue molto da vicino quella del racconto, con pochi cambiamenti, ma
soprattutto riesce a ricreare in modo convincente le atmosfere
lovecraftiane.
L'uso del
bianco e nero inoltre ha anche risolto il problema del basso budget,
in quanto il regista non doveva preoccuparsi troppo dei materiali
scenografici.
Eppure
Leman riesce a creare un'opera che ricorda i capolavori
dell'espressionismo tedesco, in particolare Das
Cabinet des Dr. Caligari, grazie alla
rappresentazione onirica della città di R'yelh che, nella povertà
dei mezzi, mostra delle strutture dagli angoli e dalle geometrie
spigolose, disorientanti e folli.
La colonna
sonora concorre a creare un crescendo di smarrimento e panico,
attraverso il quale si dispiega l'indicibile e l'irrappresentabile.
Gli sfondi e
i modellini usati per alcune scene sono semplici ma ben realizzati,
evitando di esibire troppo per evitare di ottenere un effetto poco
verosimile che in genere presentano simili produzioni.
L'apparizione
di Cthulhu viene annunciata a gradi, attraverso ombre e inquadrature
che ne rivelano lentamente l'orrore, ma più che la creatura in se
stessa, a generare turbamento è l'effetto che genera nei personaggi,
rappresentando l'incapacità degli essere umani di comprendere e
sopravvivere all'ignoto.
Significativa
è infatti la sequenza in cui un marinaio, riuscito a sfuggire a
Cthulhu, morirà poco dopo per lo spavento subito, con i capelli
imbiancati e gli occhi sanguinanti poiché hanno dovuto vedere ciò
che agli esseri umani e precluso.
Il tema
della follia davanti l'ignoto permea infatti tutto il film, a
cominciare dalla prima sequenza in cui ci viene mostrato il quadro di
Van Gogh, Notte Stellata,
in cui le linee vorticose rimandano allo smarrimento di un uomo che
si trova improvvisamente davanti a un baratro.
Altro
esempio di interessante produzione a basso costo è
Colour from the Dark, un film del 2008
di Ivan Zuccon, ispirato al racconto The
Colour Out of Space.
Con solo
100000 euro di budget il regista riesce a realizzare in modo
convincente l'indicibile lovecraftiano, attraverso particolari scelte
di luci, montaggio e di trama.
L'ambientazione
viene spostata dal New England di fine XIX secolo alla campagna
ferrarese durante la Seconda Guerra Mondiale e l'orrore nel pozzo non
sembra essere venuto dal cielo, quanto dagli abissi della terra.
La scelta del
contesto storico è significativa: il capofamiglia, Pietro, ha
evitato l'orrore del conflitto bellico “grazie” a un difetto
della gamba e la guerra sembra non toccare quei luoghi se non tramite
l'attesa di notizie sul fratello arruolato.
Eppure
l'orrore giunge nel pozzo della tenuta, attraverso delle iridescenze
misteriose che provengono dal pozzo.
L'irrappresentabilità
e l'indicibilità dell'orrore permeano tutta la vicenda: li troviamo
nel personaggio della sorella minore, Alice, malata di mente, la
prima ad accorgersi delle strane presenze, che utilizza gli “occhi”
della sua bambola di pezza come filtro per affacciarsi sull'ignoto,
nell'angolo del sottoscala in cui s'incrociano obliquamente delle
linee che inquietano Alice, nel “colore” perturbante mostrato
attraverso giochi di luce informi, nelle dissolvenze in nero che
caratterizzano i passaggi di scena.
L'incommensurabilità
dell'orrore si vede solo dagli effetti che produce: dopo i primi
cambiamenti in “positivo” (Pietro guarisce dalla sua zoppia,
Alice incomincia a parlare, l'orto dà frutti enormi), verranno, in
crescendo, quelli negativi (le verdure dell'orto avranno un sapore
amaro e marciranno rapidamente, Lucia, la moglie di Pietro, si
trasformerà in una psicopatica assassina la cui follia si estenderà
a tutti gli abitanti della casa).
Si passerà
così dai colori luminosi dell'estate nelle campagne emiliane a toni
sempre più spenti e cupi, fino all'oscurità assoluto, simboli di un
male che corrode gradualmente l'integrità fisica e mentale.
Lasciando un
interrogativo: si tratta veramente di un male ultraterreno o è
frutto della follia dell'isolamento e del timore del conflitto
mondiale che, seppur non visto, è una minaccia di morte e
annientamento reale?
Nel film
volutamente non viene data una risposta perché, come ha affermato
Lovecraft, l'orrore cosmico non necessita di spiegazioni.
La capacità
di realizzare le atmosfere dell'orrore cosmico lovecraftiano va
dunque al di là delle capacità tecniche o dei budget a disposizione
(anche se si deve sottolineare che le case di produzione hanno sempre
avuto poca fiducia negli adattamenti di questi racconti).
Ciò però
non sembra però essere nemmeno impossibile e la possibilità di
tradurre in immagini l'indicibile è stata intuita da alcuni registi
come Zuccon e Leman che sono riusciti a rimanere in precario
equilibrio tra ignoto e follia, creando uno stato di tensione perenne
nello spettatore.
La scelta più
difficile, cioè quella del non cadere in facili spettacolarizzazioni
ed effetti raccapriccianti, spesso è risultata essere la più
congeniale per rappresentare lo spirito del mondo lovecraftiano,
facendo intravedere, senza svelare completamente, quei mondi
impensabili che si annidano nelle oscurità del nostro inconscio.
In
questo caso non si avrà il “flat, infantile twaddle” che temeva
Lovecraft, bensì modi inaspettati di rappresentare
l'irrappresentabile, riproponendo nel cinema l'atmosfera
disorientante del supernatural horror,
attraverso creature amorfe, impensabili e annidate nel nostro
subconscio.
Poiché esse
non sono altro che le nostre paure più inconfessabili che,
probabilmente, non potrebbero essere veramente svelati da nessuna
rappresentazione troppo barocca e manifesta.
1
A.Migliore- J.Strysik-B.Wrightson-L. Moyer , 2006, p.1
2
H.P. Lovecraft, 1973, p. 12
3
Id., 1973, p.15
FILMOGRAFIA
La città dei mostri (The Haunted Palace), regia di Roger Corman (1963), tratto da Il caso di Charles Dexter Ward
La morte dall'occhio di cristallo (Die, Monster, Die), regia di Daniel Haller (1965), tratto da Il colore venuto dallo spazio
La porta sbarrata (The Shuttered Room), regia di David Greene (1966), tratto da La porta sbarrata (scritto con August Derleth)
Black Horror - Le messe nere (Curse of the Crimson Altar), regia di Vernon Sewell (1968), tratto da La casa delle streghe
Le vergini di Dunwich (The Dunwich Horror), regia di Daniel Haller (1969), tratto da L'orrore di Dunwich
Re-Animator, regia di Stuart Gordon (1985), tratto da Herbert West: Rianimatore
From Beyond - Terrore dall'ignoto (From Beyond), regia di Stuart Gordon (1986), tratto da From Beyond
La fattoria maledetta (The Curse), regia di David Keith (1987), tratto da Il colore venuto dallo spazio
La creatura (The Unnamable), regia di Jean-Paul Ouellette (1988), tratto da L’innominabile
Re-Animator 2 (Bride of Re-animator), regia di Brian Yuzna (1990), tratto da Herbert West: Rianimatore
The Resurrected, regia di Dan O'Bannon (1992), tratto da Il caso di Charles Dexter Ward
The Lurking Fear, regia di C. Courtney Joyner (1994), tratto da The Lurking Fear
Hemoglobin - creature dall'inferno (Bleeders), regia di Peter Svatek (1997), tratto da The Lurking Fear
Cool Air, regia di Bryan Moore (1999), tratto da Cool Air
Dagon - La mutazione del male (Dagon), regia di Stuart Gordon (2001), tratto da La maschera di Innsmouth e Dagon
The Eldritch Influence: The Life, Vision and Phenomenon of H.P. Lovecraft, regia di Shawn R. Owens - documentario (2003)
H.P. Lovecraft - Ipotesi di un viaggio in Italia, regia di Federico Greco e Roberto Leggio - documentario (2004)
Il mistero di Lovecraft - Road to L., regia di Federico Greco e Roberto Leggio - documentario (2005)
Il custode (Mortuary), regia di Tobe Hooper (2005), tratto da Il richiamo di Cthulhu
The Call of Cthulhu, regia di Andrew Leman (2005), tratto da Il richiamo di Cthulhu
Cthulhu, regia di Dan Gildark (2007), tratto da La maschera di Innsmouth
The Whisperer in Darkness, regia di Sean Branney (2011), tratto da Colui che sussurrava nelle tenebre
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